Caroline Shrodes e la lettura come “esperienza vicaria”

Nella storia incontriamo personaggi talmente pionieristici, che la loro importanza viene compresa del tutto solo nel tempo. Tra questi rientra sicuramente l’americana Caroline Shrodes, che nel lontano 1949 intuì quanto e come la lettura di un libro potesse influenzare la nostra psiche, gettando alcune premesse dell’odierna biblioterapia.
Questo termine indica l’utilizzo dei libri come strumento per affrontare specifiche problematiche, trasformandoli in spunti di discussione e crescita personale in un percorso guidato dalla figura del biblioterapeuta. Ma torniamo a Caroline Shrodes, una figura che scoperto grazie al libro “Biblioterapia” di Marco Dalla Valle.

Nel 1949 la giovane americana discusse la sua tesi di laurea, dal titolo “Bibliotherapy: a Theoretical and Clinical Experimental Study”. L’argomentazione centrale era totalmente innovativa, soprattutto per il periodo: la lettura poteva essere considerata un’“esperienza vicaria”, ossia capace di simulare esperienze reali suscitando analoghe reazioni a livello psicologico. Leggere in un libro un’accesa discussione, un momento di gioia, una situazione di tensione o di speranza che coinvolge un personaggio può portarci a vivere emozioni vicine a quelle che proveremmo nella realtà, se ciò accadesse a noi.
Caroline Shrodes articolò ulteriormente la sua teoria, individuando quattro aspetti di questo processo di “immersione” nel libro.
I quattro processi chiave della lettura secondo Caroline Shrodes
- Identificazione: il lettore si immedesima nel personaggio, può approvare o disapprovare le sue scelte e i suoi pensieri, avvertire un senso di affinità…
- Proiezione: il lettore cerca di spiegarsi le motivazioni dei personaggi e di capire i significati e i valori che lo scrittore vuole trasmettere.
- Abreazione: un termine di derivazione psicoanalitica. Il lettore si trova a vivere emozioni che possono essere forti, quando la lettura rievoca esperienze personali. L’emotività legata a tali ricordi viene così affrontata e sfogata, grazie al libro. Il lettore porta alla coscienza un fardello di emozioni passate, riuscendo finalmente a superarlo, secondo il processo di catarsi teorizzato dalla psicoanalisi.
- Intuizione: attraverso la lettura il lettore può raggiungere a una nuova consapevolezza di sé e degli altri, capendo meglio le proprie e altrui motivazioni. Riesce così a raggiungere una maggiore apertura mentale, affinare le capacità di introspezione e analisi della realtà, assimilare valori e concetti nuovi.
L’argomentazione di Caroline Shrodes è di grande fascino. Tuttavia, a qualcuno potrebbe sembrare solo una brillante impostazione teorica, difficile da verificare scientificamente. Oggi, però, la ricerca in ambito psicologico ha portato interessanti riscontri a sostegno di quanto ipotizzato dalla studiosa americana.
La lettura come training dell’empatia: le ipotesi di Oatley e Turner
Il prof. Keith Oatley, psicologo e docente della University of Toronto, ha condotto ricerche sul rapporto tra lettura ed empatia. In uno dei suoi studi, al quale ho dedicato un articolo, un campione di persone è stato sottoposto a test sull’empatia e sul riconoscimento delle emozioni altrui. Nel gruppo, i lettori abituali ottenevano i risultati migliori.
Secondo il prof. Oatley, è possibile che la lettura di romanzi, o comunque libri con una struttura narrativa, agisca come un vero “training dell’empatia”. Immaginare le emozioni e i pensieri dei personaggi affinerebbe la capacità di capire le persone reali. Un dato che si collega direttamente all’ipotesi di Shrodes: la lettura come esperienza vicaria, che simula situazioni di vita reale nella mente.
Un altro studio, di cui ho parlato sempre su questo sito, aggiunge un ulteriore elemento d’interesse. Nel 2018 la psicologa inglese Rose Turner ha testato le capacità empatiche di un campione di 123 persone. Alcune erano appassionate di lettura, altre preferivano la TV. I lettori hanno ottenuto anche in questo caso punteggi superiori ai test sull’empatia.

Secondo Turner, leggere richiede uno sforzo immaginativo superiore alla TV, per raffigurarsi mentalmente stati d’animo e riflessioni di personaggi che non possiamo vedere. Al contrario, la televisione semplifica il compito mostrando le scene narrate. Naturalmente anche un film o una fiction di qualità possono fare leva sull’empatia dello spettatore, suscitare immedesimazione e coinvolgimento. L’ipotesi della dott.ssa Turner risulta comunque convincente: il libro induce processi mentali decisamente complessi, per rappresentare i personaggi e le loro azioni.
Questi studi, assieme alla teorizzazione della Shrodes, rappresentano uno stimolo per diffondere sempre più la passione per la lettura. Definire i libri una palestra di vita non sembra affatto un’esagerazione.
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