Il paradosso della parola “meditazione”

A volte mi trovo a riflettere sul concetto di meditazione. La pratica meditativa viene utilizzata come metodo per favorire l’equilibrio interiore, allontanare lo stress, migliorare la capacità di concentrazione.
Nel quotidiano, cerco di dedicarmi (ahimé, senza riuscirci sempre) a tecniche di rilassamento che con la meditazione hanno molto in comune. Anzi, alla base sono forse la stessa cosa. Proprio da questi due concetti, meditazione e rilassamento, nasce la mia riflessione.
Un’espressione fuorviante?
Nella nostra cultura occidentale, il verbo “meditare” evoca una condizione completamente diversa dal rilassamento, o dalla concentrazione sul “qui e ora” per allontanare i pensieri stressanti. Per noi “meditare” significa soprattutto riflettere intensamente, arrovellarsi su qualcosa in cerca di risposte, soluzioni.
Anche Treccani.it conferma questa accezione. Nei significati del verbo che riporta, al punto 1a troviamo:
Fermare a lungo e con intensa concentrazione spirituale la mente sopra un oggetto del pensiero, considerare profondamente un problema, un argomento, soprattutto di natura religiosa, morale, filosofica, scientifica, allo scopo di intenderne l’essenza, indagarne la natura, o trarne sviluppi, conseguenze, ecc.
Al punto 1b:
Più genericam., fermare il pensiero su qualsiasi problema che impegni l’intelletto (…)
Infine, al punto 2:
Concentrare il pensiero nel fissare le linee fondamentali di un’opera cui si desidera porre mano, studiare il modo e i mezzi più opportuni per realizzare qualche cosa, e in genere preparare nella mente, dentro di sé (…)
Insomma, ritorna chiaramente un concetto: meditare come atto di concentrarsi per giungere a una nuova deduzione, completare un progetto, risolvere un problema.

Invece la meditazione derivata dalle culture orientali, che ha principi base comuni con le tecniche di rilassamento occidentali, è tutt’altro!
La riscoperta del qui e ora
In comune con le accezioni di “meditare” sorpaelencate c’è la concentrazione. Ma si tratta di una concentrazione sul respiro, lento e profondo. Oppure sull’ambiente circostante o, in alcune tradizioni, su un suono vocale ripetitivo come il mantra.
Lo scopo è proprio distogliere la mente dagli sforzi del quotidiano, che rischiano di essere spossanti. Oggi, ad esempio, i dispositivi portatili fanno sì che il web ci segua praticamente ovunque. Questo offre nuove possibilità, ma aumenta anche il rischio di un sovraccarico di stimoli. Ci inseguono mail di lavoro, brutte notizie di cronaca, articoli discutibili di siti Internet discutibili.
La meditazione aiuta a staccare la spina e a capire che non possiamo essere altrove che qui e ora. Studi scientifici hanno riscontrato i suoi benefici a livello psicologico. Interrompendo il logoramento continuo di domande, congetture, pensieri ansiogeni, offriamo alla mente un vero recupero.
Il paradosso del titolo del post è quindi semplice: il nome di una pratica rilassante evoca tutt’altro. Non sarebbe quindi il caso di cambiarlo?
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