Un’infanzia circondati dalla natura, una migliore salute mentale da adulti?

In un articolo di questo sito ho parlato del concetto di “biofilia”, il profondo attaccamento alla natura che sembra condizionarci ancora fortemente. Una tendenza che dovremmo assecondare di più nella progettazione degli ambienti, interni e esterni, in cui viviamo.
Un nuovo studio proveniente dalla Danimarca aggiunge interessanti dati a quanto conosciamo sull’importanza del contatto con la natura.
Un team di ricerca della danese Aarhus University ha analizzato dati provenienti dal Danish Civil Registration System, un database della popolazione nazionale che riporta il luogo di nascita e di residenza di ogni cittadino e altre informazioni, come le condizioni socioeconomiche e di salute.
Gli scienziati, guidati dalla ricercatrice Kristine Engemann, hanno preso in considerazione le persone nate in Danimarca tra il 1985 e il 2003, che fossero ancora residenti nel Paese al compimento del decimo anno di età. Di ognuna sono stati valutati due aspetti: l’ambiente d’infanzia e il rischio di sviluppare una problematica psicologica in età adulta.
Il verde che giova alla psiche
La valutazione dei “luoghi d’infanzia” dei cittadini è stata compiuta accuratamente, avvalendosi anche di immagini satellitari. È stato quindi possibile quantificare la presenza di spazi verdi, nel tempo, nelle diverse aree.
Coloro che avevano vissuto dalla nascita a dieci anni nei territori più verdeggianti, correvano un rischio minore di sviluppare in seguito diversi disturbi psicologici. Al contrario, gli individui cresciuti nelle zone più “grigie” e urbanizzate avevano un rischio superiore del 55% di incorrere in disturbi dell’umore, episodi depressivi singoli e ricorrenti e disturbi legati allo stress.
In che modo un’infanzia a contatto con la natura agirebbe da “protezione” contro futuri malesseri psicologici?

Lo studio italiano tra i boschi della Valle d’Aosta
Una ricerca italiana del 2012 può aiutarci capire in che modo la natura agisce sulla psiche del bambino.
Il biologo Giuseppe Barbiero e la psicologa Rita Berto, con la collaborazione di alcuni docenti, hanno sottoposto un gruppo di alunni di una scuola elementare di Aosta a diversi test, dopo averli messi a contatto con tre diversi ambienti.
Uno di questi era la classe, in cui svolgevano l’attività “Spazio al silenzio”: una serie di pratiche di meditazione presentate in maniera ludica, con la preparazione di un’insegnante specializzata.
Un altro era il cortile scolastico, dove giocavano in libertà. Infine, il terzo ambiente era del tutto naturale: il bosco, in cui gli studenti compivano una passeggiata guidata.
I test, in versioni adeguate ai bambini, valutavano la capacità attentiva, la sensazione di essere “rigenerati dall’ambiente” e il senso di connessione con la natura. Il team di ricerca misurava inoltre la pressione e la frequenza cardiaca di ogni scolaro, dopo le tre diverse situazioni.
I risultati dello studio
Sorprendentemente, i bambini consideravano il cortile il luogo meno rigenerante, nonostante fosse il teatro dei loro giochi liberi. Al primo posto indicavano il bosco, seguito dalla classe durante la pratica di “silenzio attivo”.

Se la connessione alla natura non variava significativamente nei tre contesti, cambiava la capacità dei bambini di prestare attenzione: anche in questo caso, l’ambiente migliore era il bosco. Dopo la passeggiata, gli scolari avevano le migliori prestazioni in un test sull’attenzione diretta e i punteggi più alti in apposite scale.
Inoltre, l’ambiente naturale sembrava sortire un effetto “calmante” simile a quello della meditazione, riscontrabile da aspetti come la frequenza cardiaca.
Una spiegazione basata sull’attenzione
Come ipotizzato dai ricercatori, questi dati potrebbero spiegarsi con la Attention Restoration Theory elaborata da una coppia di psicologi americani, i coniugi Kaplan, negli anni ’80.

Secondo tale teoria, gli ambienti naturali solleciterebbero in noi una forma di attenzione spontanea, che si attiva senza sforzo rilassandoci. L’esatto contrario di quanto accade nei contesti urbani caotici, in cui dobbiamo continuamente, forzatamente focalizzarci su stimoli artificiali (auto e altri mezzi in movimento, segnali stradali e insegne etc.).
Nel bosco gli scolari avrebbero in pratica “recuperato le energie mentali”, abbandonando per un po’ l’attenzione “forzata” a favore di un’attenzione spontanea e rigenerante per la natura.
Questo studio potrebbe spiegare quanto osservato dai ricercatori danesi. I bambini cresciuti a contatto con la natura si sarebbero abituati a recuperare più in fretta dallo stress; ciò si rifletterebbe sul loro equilibrio psicologico da adulti.
Altri possibili fattori
Alcune ricerche mettono in relazione gli ambienti caratterizzati da inquinamento e rumori forti con il rischio di sviluppare un disturbo psicologico. Tali elementi sono meno presenti nelle zone più tranquille e verdeggianti, che favoriscono la vita all’aria aperta.
Per un bambino, ciò significa poter trascorrere più tempo giocando fuori casa, magari in compagnia. Movimento, socializzazione, migliore qualità dell’aria e pochi rumori potrebbero quindi rappresentare ulteriori elementi che rafforzano il benessere psicofisico dei piccoli.
Suonano quindi come un monito le parole di uno dei ricercatori dello studio danese, il professor Jens-Christian Svenning:
La relazione tra la salute mentale e la disponibilità di aree verdi in una zona dovrebbe essere presa ancora di più in considerazione nella pianificazione urbanistica, per garantire città più verdi e salubri e migliorare la salute mentale dei futuri residenti delle aree urbane”.
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