Prosocialità, un training per migliorarla

Prosocialità: cosa significa questo termine? Generalmente, si riferisce ai comportamenti mirati ad aiutare il prossimo, che si tratti di un aiuto materiale o morale.
Un elemento che, contrariamente a quanto i più pessimisti potrebbero pensare, sembra in una certa misura radicato in noi. Siamo, in fondo, una specie evolutasi grazie alla cooperazione in comunità più o meno grandi, in cui l’empatia e l’aiuto reciproco erano fondamentali.
Tuttavia, appare evidente che esistono grandi differenze da individuo a individuo nel grado di prosocialità. È possibile migliorare questo aspetto?
Una ricerca del 2011 pubblicata sulla rivista scientifica Plos One risulta particolarmente interessante a tale proposito, per i risultati e per i metodi innovativi utilizzati.
Un videogame rivelatore
Le ricercatrici dell’Università di Zurigo Susanne Leiberg, Olga Klimecki e Tania Singer hanno dapprima testato lo Zurich Prosocial Game (ZPG), un videogame appositamente creato per misurare il grado di prosocialità, su un gruppo di 68 donne tra i 18 e i 35 anni di età.
Lo ZPG, con una grafica semplice e diretta, chiede ai giocatori di muoversi in un labirinto alla ricerca di un tesoro. Nel frattempo mostra loro, sullo stesso schermo, un presunto utente che gioca su un altro tracciato.
Tra i due personaggi virtuali della partita non esiste competizione: si muovono su distinti percorsi in cerca, ognuno, di un tesoro a sé. Tuttavia, a un certo punto si imbattono in alcuni portali che bloccano i tracciati, apribili con chiavi disponibili limitatamente. Il giocatore può scegliere di aiutare l’altro ipotetico utente rimasto senza chiavi, donandogli una delle sue entro un tempo limite. Altrimenti lo vedrà concludere la partita.

Alle giovani donne che partecipavano all’esperimento veniva detto che anche il secondo personaggio era pilotato da una persona reale, collegata da un altro istituto di ricerca.
In questa prima parte dello studio sono emersi già dati interessanti.
Lo ZPG si è rivelato utile nella valutazione della prosocialità. In particolare, ha rilevato che le giocatrici aiutavano maggiormente quando l’aiuto era reciproco, comportava una penalizzazione minore e l’altro personaggio virtuale manifestava disagio (attraverso un lamento ascoltabile in cuffia e un’immagine di pianto e sudore).
Un training ad hoc
La seconda parte dell’esperimento, a mio avviso la più interessante, ha coinvolto 69 donne tra i 18 e i 34 anni.
35 di loro frequentavano un “Compassion Training”, un corso di un giorno sullo sviluppo della compassione. Utilizzando la tecnica di meditazione buddhista chiamata “Metta”, sviluppavano sentimenti positivi rivolti dapprima a loro stesse e ai familiari, poi a una persona “neutra”, a una con cui avevano rapporti problematici e, infine, all’umanità in generale. Per farlo, ripetevano mentalmente frasi come “Che tu possa essere al sicuro” o “Ti auguro di essere felice”, immaginandone i destinatari.
La pratica meditativa alternava la posizione seduta alla camminata, in sessioni tra i 15 e i 30 minuti.

Le altre partecipanti a questa parte dello studio, invece, seguivano un training sulle abilità di memorizzazione.
Entrambi i gruppi provavano poi lo ZPG.
L’effetto del training sulla prosocialità
Le giovani formate attraverso il “Compassion Training” si mostravano significativamente più propense ad aiutare l’altro presunto utente, sia quando ciò comportava un costo (penalizzazione nel gioco) lieve, sia quando il costo era più elevato. Il comportamento prosociale appariva quindi rafforzato, meno vincolato a una questione di “calcolo” dei vantaggi e degli svantaggi che poteva comportare.
Questa ricerca suscita una riflessione. Da un lato, un’educazione alla prosocialità sembra produrre effetti concreti e potrebbe essere introdotta nei contesti scolastici. Dall’altro, videogiochi come lo ZPG rappresentano un’idea innovativa, per valutare una caratteristica così importante in maniera interattiva e coinvolgente. Sono trascorsi diversi anni da quel pionieristico studio: forse è il caso di prenderne sul serio i risultati, in un mondo che ha sempre più bisogno di “Compassion”!
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